“Quando nasce un figlio, nascono anche i genitori, pieni di speranze, timori, aspettative. Il compito fa sentire quasi sempre inadeguati. Eppure, per “allenare” un bambino alla vita, non occorrono competenze speciali, basta la volontà di mettersi in gioco, solo così è possibile sintonizzarsi con lui ed aiutarlo a crescere libero e felice. Non esistono infatti ricette preconfezionate per gestire le emozioni fondamentali – rabbia e paura, tristezza e disgusto, sorpresa e felicità – che alimentano la mente del bambino, talvolta innescando disagi e conflitti. Ma alle sfide di ogni giorno è possibile rispondere accogliendo il loro stato emotivo, facendolo sentire compreso, offrendogli strumenti via via più complessi per interpretare quello che prova e attribuirgli un senso.” A. Pellai
È proprio vero, quando c’è un bambino, ci sono due nuove persone che diventano genitori. In realtà, lo sono diventati già nove mesi prima, la loro mente ha cominciato a pensare, immaginare e fantasticare quel bambino che ora gli si è palesato davanti in modo concreto: ma è proprio poterlo stringere, poterlo toccare e guardare negli occhi che dà inizio alla relazione genitore-figlio in modo definitivo, una relazione che durerà per sempre.
Per tutto l’arco della nostra esistenza costruiamo con lui la relazione più speciale che esista, la dimensione più creativa in cui gli adulti possano trovarsi coinvolti. Creativa perché unica, diversa da tutte le altre, così intensa da obbligare la coppia a generare un nuovo equilibrio relazionale, un nuovo modo di stare insieme all’interno del proprio nucleo familiare. Crescere un figlio significa permettergli di diventare ciò che è realmente, accompagnarlo lungo un sentiero che gli consenta di realizzare il proprio progetto di vita, di conoscersi e comprendersi a fondo così da trasformare il proprio potenziale in risorsa per la sua esistenza e per coloro che gli stanno accanto. Sentirsi responsabili di un tale compito manda spesso noi genitori un po’ in crisi. Da una parte ci troviamo travolti da un’immensa felicità. In fin dei conti sapere che diventeremo genitori significa proprio realizzare uno dei progetti più desiderati, sognati e fantastici nella nostra vita. Allo stesso tempo, però, le domande nascono spontanee – “Sarò un bravo genitore? Sarò adeguato a farlo crescere sano e felice? Reggerò alla fatica e alla responsabilità?” – domande che contaminano la felicità iniziale con molte altre emozioni. La più frequente è la paura di non essere all’altezza del compito.
La paura di non essere all’altezza può essere facilmente addomesticata. La cosa importante da sapere è che per essere buoni genitori non significa saper “fare cose speciali in modo speciale”, bensì “sentire” dentro di sé che si è capaci di ascoltare e accettare le proprie emozioni, passaggio indispensabile per essere poi capaci di sintonizzarsi con gli stati emotivi del proprio bambino, attribuirvi un significato e comportarsi di conseguenza… questo è il segreto. Le emozioni rappresentano l’elemento in comune tra grandi e piccoli: è proprio sfruttando la capacità di avvertire gli stati emotivi nel bambino che un adulto può calarsi nel ruolo di genitore nel migliore dei modi. Questo presuppone che l’adulto abbia un buono stato di competenza emotiva rispetto a se stesso e comprenda il ruolo che le emozioni hanno giocato nel suo percorso di sviluppo, nella sua storia relazionale. Un genitore, deve essere consapevole di validare gli stati emotivi attraversati e vissuti e di riconoscerne i significati. “Perché in questo momento mi sento triste?” “Perché quando ho bisogno di aiuto non riesco a rivolgermi a nessuno, anzi a volte attacco le persone vicine a me che mi offrono sostegno?” “Perché molte volte mi sento così confuso, perso, affaticato nella relazione con il mio bambino che invece dovrebbe farmi sentire felice, appagato, realizzato?”. Queste domande e molte altre appartengono a momenti specifici della vita di tutti i genitori. Chi sente di averle dentro di sé a volte si spaventa e cerca di rimuoverle o di non darvi peso. La persona consapevole, invece, utilizza ogni pensiero ed emozione registrato per accogliere nella propria identità le parti più affaticate o insicure. Solo avendo una consapevolezza che tutto questo ci appartiene e ci definisce potremo accogliere tutto ciò che il nostro bambino ci offre nell’ambito della relazione esclusiva che vive con noi.
Quando un bambino viene al mondo, ha una conoscenza di ciò che lo circonda tutta basata su ciò che il suo corpo “registra”. Il bambino fa esperienza del mondo attraverso il corpo e tale esperienza si traduce in sensazioni ed emozioni che costruiscono i suoi primi paesaggi mentali. Non è un processo semplice né scontato, ed è impossibile farlo da soli: in questo cammino tortuoso ed emozionante, lo sguardo degli adulti competenti segue, indirizza, sostiene sin dal primo giorno di vita il bambino che sperimenta. Con il tempo imparerà a differenziare tali stati in una delle sei emozioni primarie che il corpo registra, in relazione agli stimoli che gli provengono dalle situazioni in cui si trova coinvolto e che vive.
Il corpo riconosce in modo specifico e speciale paura, felicità, rabbia, sorpresa, disgusto, tristezza e le connota con specifiche reazioni somatiche. I genitori potranno riconoscere le emozioni che i propri figli stanno provando proprio osservando il modo in cui il loro corpo ce le racconta. Insomma, le emozioni all’interno di una relazione trovano sempre un modo per essere manifestate e comunicate, viste, analizzate e comprese: il corpo è il primo recettore che le registra e le vive. È ai genitori che un bambino affida il compito di entrare dentro ai suoi stati emotivi e immergersi nel magma in cui lui non sa fare chiarezza, sperando che la sua attivazione trovi in chi si prende cura di lui la gestione più adeguata e le risposte di cui ha bisogno. Quando un bambino sperimenta uno stato di attivazione sono proprio i genitori, con le loro interazioni, con come lo dicono e come lo fanno, a fornirgli una competenza emotiva, a dotarlo di un’educazione che si struttura, organizza e sviluppa in età evolutiva e che poi durerà per tutta la vita.
L’ emotività consolidata è il motore di uno sviluppo globale equilibrato. E’ fondamentale, perciò, che i genitori diano gli strumenti ai propri figli, attraverso i quali questi ultimi possano andare incontro alle pieghe della vita con sicurezza e identità. il segreto sta nel riconoscere i propri figli come altro da sé e non come un proseguimento degli adulti che li hanno generati.
Tiziana
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